Cromia
che esprimono valori contrastanti di luce e ombra, colori e forme
che si modulano in cadenze libere e armoniose, soggetti senza più
peso che fluttuano in orbite fantastiche.
Il mondo conteso e sospeso fra fondi notturni ed i primi piani, evidenziati
da bagliori lucenti, creano il fertile terreno sul quale Dina Cangi
manifesta gli oggetti della sua rappresentazione.
Gli spazi raffigurati nelle sue tele sono creati da un gioco di linee
che si intersecano formando aree in cui si articolano, bidimensionalmente,
oggetti a tre dimensioni posti su piani completamente diversi.
L'atista evita i contorni chiusi per consentire a oggetti posti su
livelli differenti di porsi l'uno nell'altro, realizzando giochi prospettici
e luministici. (...)
La realtà naturale è reinventata attraverso colori intensi,
disposti in sovrapposizioni successive, che conferiscono all'intera
composizione un'atmosfera calda, quasi bruciante, nella quale ondeggiano
elementi appartenenti a una dimensione cristallizzata, privata dello
scorrere del tempo.
Sicuramente l'elemento che più di tutti caratterizza le opere
di questa pittrice, è l'uso sapiente della luce, dosata, modulata,
con una cadenza quasi musicale che, con un "movimento" crescente,
mette in risalto gli oggetti in primo piano, focalizzando su di essi
l'attenzione dello spettatore, er diminuire progressivamente e con
andamento lento, sempre più lento, fino a perdersi nei piani
successivi, dilatando lo spazio all'infinito.
In opere come Ai confini del mondo e Messaggi, questo rapporto dialettico
tra le luce e l'ombra è particolarmente evidente: sui fondi
scuri, profondi, intensi, caratterizzati da cromie dense e calde,
si stagliano gli elementi in primo piano, subitanee apparizioni investite
da un improvviso raggio di luce, che sembrano sfondare la bidimensionalità
del piano pittorico, per entrare in diretta comunicazione con lo spettatore.
In tutta la produzione, da quella più lontana a quella più
recente, la Cangi tende a trasformare il concreto che trascende se
stesso e diventa interiore e mentale anche per chi l'osserva, e non
solo per chi la crea.
Per questa ragione le sue opere riescono, di volta in volta, a instaurare
un rapporto sempre diverso, di dialogo e di gioco, richiamando alla
mente ciò che diceva Mirò, quando affermava che "...in
un quadro si devono poter scoprire cose nuove ogni volte che lo si
osserva (...)."
Un' opera dovrebbe essere come un bagliore improvviso, dovrebbe accecare
come la bellezza di un corpo femminile. Più del quadro, conta
quello che l'opera proietta, con un moto centrifugo, al di fuori della
cornice.